La notte di Samhain cade il 31 ottobre e con essa si conclude l’annuale giro di Ruota. Secondo la tradizione avaloniana di Glastonbury, in questa occasione si celebra la Dea Keridwen, archetipo della Crona.
Signora della Morte, Regina del Mondo di Sotto, Lei è la custode della Sacra Soglia che le anime oltrepassano quando lasciano le loro spoglie mortali per ritornare nel Ventre della Madre, luogo sia metafisico che fisico dove queste ultime vengono deposte.
Lei è la Maga, l’Anziana, la Fattucchiera, la Strega, la Donna Medicina, l’Antica Madre, colei che nel suo calderone rimesta la pozione magica che dona morte e trasformazione. Lei taglia i rami secchi, elimina quello che non serve più, inizia l’opera di pulizia e rinnovamento che poi continuerà Danu, Dea dell’aria che si celebra nel Solstizio d’inverno.
Nella Ruota dell’Anno Keridwen si pone tra l’elemento Terra e l’elemento Aria, poiché il nostro corpo torna alla Terra per disfarsi e nutrire altre forme di vita che in essa dimorano, mentre il nostro spirito ritrova la sua essenza eterea originaria.

Il suo colore è il nero delle profondità del sottosuolo dove Lei vive nella sua grotta, nell’oscurità che custodendo la morte dona nuova vita. Il nero non come assenza di colore ma al contrario: come somma di tutti i colori, raccolti e mescolati assieme, totale condensato dell’esistenza, qui è dove tutto convoglia e da dove tutto riparte. Ci insegna che la morte non è il male da sconfiggere ma una parte fondamentale del tutto, e che l’oscurità non è qualcosa di cui aver timore ma è importante e necessaria tanto quanto la luce.
I suoi simboli sono la falce a mezzaluna o le forbici, con le quali taglia il filo della vita come si taglia il grano nella mietitura, e il calderone della morte e della trasformazione dove ribolle la pozione in cui le anime si tuffano dopo aver lasciato i loro corpi, trasformandosi per poi rinascere nel ciclo continuo che mantiene tutto in equilibrio.
I suoi animali sono il rospo, che in alcune specie secerne un liquido velenoso o allucinogeno e nel letargo invernale può sembrare morto, il corvo, uccello associato alla morte per lo stesso motivo degli avvoltoi, e il serpente, che si nasconde negli anfratti tra i sassi e sotto terra, ed è simbolo di trasformazione perché regolarmente cambia pelle.
Keridwen è detta anche Scrofa bianca: i maiali sono da molte culture associati alla morte perché talvolta si cibano di cadaveri (anche la Disney ha provato a richiamare queste simbologie, purtroppo in modo piuttosto fallimentare, con il film quasi sconosciuto “Taron e la pentola magica” dove il punto focale della trama è proprio il legame tra la maialina del protagonista e il calderone magico).
Ulteriore figura fondamentale è la Sheela-na-gig, rappresentata come una vecchia che spalanca la sua vulva con le mani, la Porta della Terra, la Yoni della Dea, il Sacro Passaggio di vita e morte. In Gran Bretagna e Irlanda è frequente trovarla rappresentata sopra le porte delle chiese con la funzione di spaventare i demoni proteggendo il punto di transito da fuori a dentro e da dentro a fuori.

Sheela-na-gig
A proposito del termine Crona riporto la spiegazione che Luciana Percovich ha scritto in un suo articolo riguardo al significato e alla scelta dell’uso di questo vocabolo, che personalmente trovo perfetto:
“Mary Daly ne ha dato una etimologia eccitante, individuando il termine dell’antico inglese crone, che un tempo indicava la donna anziana e saggia, o lucidamente vecchia. È una parola che abbiamo scelto per occupare l’assenza nella lingua italiana (o forse la caduta in disuso) di una parola positiva per chiamare le donne vecchie. Forse un tempo c’era, ma dopo i Secoli dei Roghi durante i quali molte donne sole, anziane e indipendenti furono eliminate, cadde in disuso insieme all’idea che una “vecchia” potesse esercitare una qualche forma di potere. Ed essere un punto di riferimento per la famiglia o anche per contesti più allargati, affascinare le/i nipoti con la sua libertà e i suoi racconti, dotata di una affinità naturale coi più giovani di casa perché più vicina, come le piccole e i piccoli appunto, alla dimensione da cui arriviamo al mondo e in cui torniamo alla fine della vita.”
(Articolo completo a questo link: https://www.autricidicivilta.it/crone-ovvero-le-viaggiatrici-della-quinta-dimensione/)
Nelle storie antiche, inoltre, la parola Crone veniva usata per indicare la donna anziana dotata di poteri magici, non specificatamente buona o cattiva, semplicemente anziana, magica e saggia, ed è l’aspetto che più mi piace di questo termine: la sua accezione neutra. Nel linguaggio moderno purtroppo questo vocabolo è diventato sinonimo di “megera”, con tutto il bagaglio di negativizzazioni culturali che ne consegue, ma in origine indicava tutt’altro: un insieme di caratteristiche che potevano essere parimenti usate nel bene o nel male a discrezione del singolo soggetto, non dell’archetipo in quanto tale. Ne è un chiarissimo esempio la storia di Vassilissa, narrata e spiegata in modo più che approfondito ed esaustivo da Clarissa Pinkola Estés nel suo Donne che corrono coi lupi (capitolo 3), dove la vecchia Baba Jaga, che inizialmente sembra temibile e crudele, si rivela maestra, iniziatrice e infine salvatrice della piccola protagonista.

In italiano purtroppo non abbiamo una parola che sintetizzi tutta questa molteplicità concettuale, i vari nomi usati per questo archetipo (Vecchia, Saggia, Antica, Strega, Maga, Fattucchiera) offrono soltanto visioni parziali di ciò che Ella rappresenta, per questo trovo apprezzabile l’italianizzazione in Crona, il suono richiama energia e mi piace pensare che chiamandola in modo a Lei familiare, Lei risponderà.
Ciò che dell’arcaica Dea Crona è rimasto nella cultura delle nostre zone è la figura della Befana: vecchina severa ma giusta che vola sulla sua scopa (simbolo dello spazzare, pulire eliminando fisicamente tutto il materiale di scarto che si deposita sul metaforico pavimento delle nostre vite) portando dolci ai bambini buoni e carbone a quelli cattivi. Ma non facciamoci ingannare, anche questo è un simbolo sgradevole soltanto in apparenza: il carbone alimenta il fuoco che scalda il calderone della trasformazione e le nostre case nel freddo dell’inverno, inoltre sbriciolandolo si ottiene la cenere che fertilizza il terreno in vista delle nuove semine. Ancora una volta: dalla vita alla morte e dalla morte alla vita.
Samhain, Halloween, capodanno celtico, vigilia di Ognissanti, la notte del 31 ottobre è da sempre il fulcro di uno dei momenti più magici ed energeticamente significativi dell’anno. Il termine Samhain deriva dal gaelico samhuinn e significa fine dell’estate: ora si celebra l’inizio del buio, le giornate che si accorciano, il freddo che si fa sempre più pungente, la vegetazione che si assopisce fino a cessare ogni attività e gli animali che vanno in letargo.
Nella notte di Samhain il velo tra i Mondi si fa sottile e le anime dei defunti tornano a farci visita, non solo per stare ancora con noi ma anche per proteggerci da eventuali entità maligne. Inoltre questa sorta di varco è accessibile anche ai viventi, che possono oltrepassarlo più facilmente, magari proprio sotto la guida dei loro antenati tramite rituali pensati per l’occasione. Si celebra la morte ricordando chi non è più con noi, chiedendo consiglio agli spiriti dei nostri cari, lasciando offerte di cibo come gesto di affetto, di cura e di ringraziamento.
In questa notte la morte si mescola con la vita e ci rivela la sua essenza: non conclusione ma parte del processo, perché solo morendo si può rinascere.
Immagini
Sarah Perini, Elena Albanese – The Goddess Temple oracle cards, Ed. Lo Scarabeo (Torino)
Fonti
Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, Frassinelli (Piacenza)
Kathy Jones, La Dea nell’Antica Britannia, Ed. Psiche2 (Torino)
Kathy Jones, Sacerdotessa di Avalon, Sacerdotessa della Dea, Ed. Ester (Torino)
Kathy Jones, Camminando sulla Ruota della Dea Ana, Ed. Ester (Torino)
Riccardo Taraglio, Il vischio e la quercia, Ed. L’Età dell’Acquario (Torino)