La Piave e il Cordevole innamorati

Tutti in montagna sanno che ci sono acque buone e acque cattive, fiumi maschi e fiumi femmina; è nell’ordine naturale delle cose. Prendiamo il Cordevole, ad esempio, quel torrente impetuoso che scende dall’agordino: “L’é fiume mas-cio”, dicono i vecchi. “El vien dò pasando par le miniere de Agordo e la so acua sà da solfero e da fero”. La Piave, ch’era femmina, lo sapeva bene, e in maggio andava in amor: s’ingrossava e riscopriva la vita e scendeva turbinando tra le gole con un impeto irresistibile, travolgendo chi si opponeva al suo cammino. Imprevedibile e appassionata come le donne.

DSCF2041L’amore è cieco e cieca era la Piave nella sia folle corsa. Le acque si intorbidivano, miscghiandosi alla neve e al terriccio dei monti, la primavera con il suo sole sempre più avvolgente scioglieva i ghiacci, gli alberi gocciolavano in un ticchettio dolce a sentirsi, spuntavano le gemme ed i fiori coloravano i prati, gli animali riprendevano ad uscire e gli uomini si scollavano finalmente di dosso il gelo pungente che penetrava nelle ossa, quello che non si dimentica più.

Come gli animali, le piante e gli uomini, anche la Piave sentiva strani turbamenti salire dal profondo e non se ne dava pace; e per di più si scopriva fortemente attratta verso quel corso d’acqua che scorreva poco distante da lei, sfiorandola appena. Era il Cordevole che un tempo, lo ricordava bene, si gettava nelle sue acque tra Feltre e Belluno, era un fiume tumultuoso e, dicevano gli uomini, cattivo, eppure la Piave era affascinata dalla potenza del grande Cordevole che tanto aveva amato. 08e7ae2925_3681358_medAmore che il Cordevole ricambiava con la stessa intensità e passione, ma poi era successo un fatto inspiegabile: la montagna era franata bloccando il cammino al suo innamorato, era successo tanti e tanti anni fa nell’agordino. Il Cordevole, intrappolato suo malgrado, era stato costeratto ad uno scarto improvviso chiudendosi da quel giorno in un lago il quale sovrastava con la sua apparente tranquillità la piana di Agordo. La zona era soprannominata Voltago che significa appunto volta del lago, dove si dice che ancora oggi si possano scorgere sulle rocce, cercandoli con grande attenzione, i resti degli anelli ai queli gli antichi abitanti del luogo legavano le loro barche.

Rimasta sola la Piave non riusciva a consolarsi e nessuno degli altri affluenti, fosse il Maè o il Boite, riusciva a scuoterla dalla sua ossessione-. un tormento inconsolabile che la teneva sveglia notte e giorno. Sentiva le donne impietosite cghinarsi su di lei mentre lavavano i panni e dirle: “No dormì gnent, come la to acua”. E lei correva e correva rosa dal tarlo del dolore mentre il suo amato giaceva nel fondo del lago scuro.

Eppure non era morto: il Cordevole per chi sapeva ascoltarlo rumoreggiava e ansimava e scalpitava. Non sapeva rassegnarsi e voleva a tutti i costi raggiungere la sua amata Piave e pregava e impregava e pregava di nuovo, finchè un giorno San Martino, paladino contro ogni ingiustizia, si mosse a pietà degli innamorati, salì sui monti agordini, proprio sul sasso che oggi porta il suo nome, pose un piede sul monte alla destra del fiume ed un altro sulla montagna opposta, là dove la valle risulta più stretta.

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Alzò l’enorme spada e diede un colpo alla roccia che stava fra i suoi piedi, bastò un colpo solo, tremendo, assestato come solo il santo cavaliere sapeva fare e la montagna si spaccò. Le acque intrappolate trovarono finalmente respiro e, libere, precipitarono fragorosamente in basso. Il lago, vuotandosi a poco a poco, lasciò asciutta l’intera piana di Agordo, per la gioia degli abitanti che poterono finalmente coltivarla.

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Ma il più felice di tutti era lui, il Cordevole, che d’incanto potè riabbracciare la sua Piave, entrando impetuoso in lei; era tanto il desiderio che ad ogni primavera, agli inizi di maggio, il Cordevole si agita tutto d’un tratto gettandosi nella Piave con maggior foga del solito che lo accoglie felice del ritrovato amore.

 

 

 

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